Guerra e clima: 5 motivi per cui sono legati

 

War in the Middle East and climate change - netivist

 

E’ scoppiata, come da tempo ben sappiamo, una guerra alle porte dell’Europa, che da oltre 100 giorni è fra le notizie più discusse in tv, sui giornali e sui social. Tutto questo dopo oltre due anni di pandemia e con un’emergenza climatica sempre più imminente. Ma può, questo conflitto, essere collegato proprio alla crisi climatica? Anche se può sembrare per nulla scontata, la risposta è sì. Guerra e clima sono strettamente connessi. I motivi sono diversi e, in questo articolo, andrò ad esporli in maniera chiara ma concisa, uno ad uno.

Ma prima di proseguire lascia che mi presenti! Io sono Fabrizio e da circa due anni scrivo articoli riguardanti clima e ambiente. Qualche mese fa ho deciso di dare una rinfrescata al mio blog trasferendolo su una nuova piattaforma, rispolverando la grafica e creando una fantastica newsletter per voi lettori e lettrici! Devo dire che ci ho messo un bel po’ (circa 6 mesi) ma ora il lavoro è concluso: non vedo l’ora di ripartire alla grande e di farmi perdonare per questo periodo di assenza 🙂
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Ma ora, bando alle ciance, vediamo insieme i 5 motivi che legano guerra e clima, come ti ho promesso poco fa…

 

1. Fossil-dipendenti

La guerra in Ucraina, come ben sappiamo, ha fin da subito creato non pochi problemi all’approvvigionamento energetico di molti Paesi europei. Questa crisi energetica non solo dimostra la notevole dipendenza di molti Paesi dal gas russo, ma mette in luce anche quella dai combustibili fossili in generale.
Prendiamo come esempio l’Italia: il gas rappresenta la principale fonte da cui ricaviamo energia (41,8%) e del totale che ne consumiamo il 46% circa proviene proprio dalla Russia. Complessivamente, considerando anche altre fonti fossili come il petrolio e il carbone, si può notare che l’80% dell’energia che produciamo proviene da fonti non rinnovabili.

 

Che succede se nessuno dà la “patente” al gasdotto Nord Stream 2? - Formiche.net

 

2. Una rotta sbagliata

La guerra di Putin, che sembra tutt’altro che attenuarsi, e le devastanti conseguenze a cui sta portando, stanno conducendo sempre più Paesi europei a valutare nuove soluzioni per porre fine alla loro dipendenza energetica dalla Russia. Tuttavia, al momento, le strategie adottate non sembrano andare nella direzione giusta.

Nelle ultime settimane il governo Draghi ha firmato diversi accordi per aumentare il flusso di gas da Paesi africani come Algeria, Egitto, Repubblica del Congo e Angola. E’ però piuttosto discutibile prendere accordi con governi come ad esempio quello egiziano, il quale come sappiamo non ha mai collaborato a fare chiarezza sul caso Regeni e,  fino a pochi mesi fa, teneva prigioniero un attivista per i diritti umani ritenuto “scomodo” per il regime. Insomma, ci si affranca dalla dipendenza energetica di una dittatura ma poi, quando bisogna trovare alternative, della parola “dittatura” ci si dimentica. E ci si dimentica anche dell’emergenza climatica, del fatto che il gas è un combustibile fossile e come tale emette enormi quantità di gas climalteranti.

La Russia sta cercando di sfruttare a suo favore la dipendenza energetica dei Paesi UE, utilizzando il gas come arma di ricatto. Contro tale minaccia, il governo italiano sta cercando di rendere il nostro Paese sempre più autosufficiente. Per questo, a pochi giorni dallo scoppio del conflitto in Ucraina, Mario Draghi ha parlato di riapertura delle sette centrali a carbone presenti in Italia. Le stesse che, solo qualche mese fa durante la conferenza per il clima a Glasgow, l’Italia aveva promesso di chiudere entro il 2025.

Non ci si poteva di certo aspettare che questa terribile guerra, in quanto tale, portasse a qualcosa di positivo. Ma poteva perlomeno essere l’occasione per affrancarsi non solo dalla dipendenza dal gas russo ma anche, più ampiamente, dai combustibili fossili. Il loro utilizzo rischia ora di aumentare, anziché diminuire come dovrebbe.

 

Se continueremo così, possiamo dire addio all’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media globale ad 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo. E anche l’obiettivo dei 2 gradi potrebbe risultare fuori portata

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite

 

3. I rapporti internazionali in crisi

Le relazioni diplomatiche fra i Paesi occidentali e la Russia, già da tempo in crisi, con l’avvento della guerra non hanno fatto altro che peggiorare. Questo è un grande svantaggio anche per il clima: nel bel mezzo di un’emergenza climatica la collaborazione fra i Paesi di tutto il mondo non solo è auspicabile, ma anzi è fondamentale, mentre la sua assenza rende questa grande sfida per l’umanità ancora più ardua. I summit internazionali per fronteggiare la crisi climatica, infatti, si basano proprio sulla collaborazione fra gli Stati che vi partecipano, senza la quale raggiungere accordi ambiziosi è praticamente impossibile.
Di questo passo anche la prossima COP27, che si terrà il prossimo novembre in Egitto, rischia di rivelarsi l’ennesimo fallimento, come del resto gran parte di quelle precedenti.

 

Diplomazia in tempi di guerra

 

4. Gas in campo

Ma qual è l’impatto concreto, in termini di emissioni, dei conflitti armati?
Secondo alcune ricerche, le attività militari e le industrie ad esse correlate sono responsabili del 5% delle emissioni globali di gas climalteranti.
Il Cost of war project ha stimato che il servizio militare americano abbia prodotto 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra tra il 2001 e il 2007. Se questo dato non ti dice molto, pensa che questa quantità è paragonabile al 47° Paese maggior emettitore al mondo, ovvero il Portogallo.

Ma da dove vengono le emissioni dei conflitti? Il primo aspetto, e forse anche il più banale, è quello dello spostamento mastodontico di militari, armi ed equipaggiamento con mezzi di trasporto terrestri, marini ed aerei. Notevoli sono inoltre le emissioni causate dalle esplosioni e dalle armi incendiarie, che spesso diventano in poco tempo fuori controllo distruggendo enormi aree di vegetazione.

Come se non bastasse, esiste anche una strategia militare per niente apprezzabile: il gas flaring (letteralmente “fiammata di gas”), ovvero l’incendio dei combustibili fossili con il quale gli eserciti si assicurano che le risorse siano inutilizzabili e dalle quali il nemico non possa, attraverso la loro vendita, trarne beneficio economico. Una pratica non molto “green” (ma dai!) 🙄

 

carro armato in guerra, foto di Kevin Schmid

 

5. Effetto serra, effetto guerra

Come hai potuto capire dai punti precedenti, la guerra è molto legata alla questione climatica e, per certi aspetti, non fa altro che peggiorarla. Inoltre, purtroppo, avviene anche la reazione inversa: molti studi stimano che la crisi climatica porterà ad un notevole aumento dei conflitti armati. Non a caso, “Effetto serra, effetto guerra” è recentemente diventato uno slogan utilizzato da diversi movimenti ambientalisti, fra cui per esempio FFF

I cambiamenti climatici porteranno ad una sempre maggiore competizione per  risorse vitali quali cibo, acqua e suolo e, di conseguenza, ad una situazione geo-politica molto instabile. Con questi presupposti aumenteranno con ogni probabilità le migrazioni, i casi di terrorismo e i conflitti armati.

 

Secondo te ci sono altri motivi che collegano guerra e clima? Fammelo sapere sotto nei commenti! E se l’articolo ti è piaciuto non dimenticarti di iscriverti alla newsletter per non perderti i prossimi che scriverò! 😉

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